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E’ cominciato oggi, venerdì 20 dicembre, il voto per le elezioni presidenziali e legislative nei 20.001 scrutini del Madagascar.

Quasi 8 milioni di elettori sono chiamati alle urne per eleggere il presidente che porrà fine a questi quasi 5 anni di transizione e allo stesso tempo per eleggere i 151 parlamentari che rappresenteranno gli elettori di ogni distretto amministrativo.

In assenza dei due personaggi principali che hanno ricoperto il posto di presidente dal 2002, Marc Ravalomanana e Andry Rajoelina, entrambi estromessi dalle elezioni sopratutto a causa del veto della comunità internazionale, si scontreranno due ex ministri rappresentanti le parti avverse.

Da una parte Hery Rajaonarimampianina, ultimo ministro delle finanze, un tecnocrate che ha fatto carriera come commercialista di grosse società e che è riuscito comunque negli ultimi 4 anni a non fare troppo vacillare i conti dello stato nonostante l’assenza di finanziamenti esterni da parte della comunità internazionale; la parte avversa, sostenuta dall’ex presidente Ravalomanana, sarà rappresentata da Jean Louis Robinson, un ex ministro della sanità, sconosciuto ai più prima della sua candidatura, ma sopratutto prima del sostegno ricevuto dall’ex capo di stato in esilio.

Lo scrutinio finalmente permetterà di far uscire il Madagascar dalla situazione molto difficile che ha caratterizzato gli ultimi 5 anni, in particolar modo da ché la comunità internazionale (fim, bad e banca mondiale in primis) ha bloccato qualsiasi forma di finanziamento alle politiche statali, finanziamento che fino al colpo di stato rappresentava anche il 65% del budget dello stato.

Il che ha portato una popolazione che stava piano piano uscendo dalla miseria, a ritornare un paese dove più del 90% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.
La voglia di cambiamento, o piuttosto di un ritorno alla situazione pre-golpe é molto sentita specialmente nelle grandi città, la capitale Antananarivo in primis, dove Robinson ha toccato vette anche del 65% durante il primo turno delle elezioni presidenziali.

Partito come outsider sconosciuto, Robinson ha raccolto il sostegno di tutti i partigiani di Ravalomanana e sembra lanciato per vincere queste elezioni.

Da parte sua sconta forse il fatto di essere un meticcio franco-cinese, e in un paese caratterizzato da forte tribalità e forte identità tipica degli abitanti di un isola è un fattore che conta. L’appartenenza più volte ricordata dallo stesso alla massoneria e al partito socialista francese credo che onestamente non spostino più di tanto l’ago della bilancia né in suo favore né in suo sfavore.

Hery invece ha ricevuto il pieno e pubblico supporto del presidente attuale anche se contro la legge, che prevedeva l’assoluta neutralità delle cariche e degli apparati dello stato, e cavalca il sentimento anti Ravalomanana che nonostante tutto tocca ancora una parte importante della popolazione sopratutto localizzata sulle coste del Madagascar.

Il voto si svolgerà sicuramente in maniera pacifica sotto l’occhio attento degli osservatori internazionali e delle forze dell’ordine che per l’occasione hanno raddoppiato la presenza nelle città e nelle campagne.
I risultati invece si faranno attendere perché già la stagione delle piogge ha avuto inizio e certi uffici di voto sono molto lontani da strade asfaltate.
Il problema sarà poi fare accettare l’esito delle elezioni alla parte perdente, visto che già dal giorno del voto si sono sprecate le denunce per frode.
Se vincerà Jean Louis Robinson dovremo anche vedere come la decisione delle urne sarà accettata dai militari, una buona parte dei quali invischiati a alti livelli al il colpo di stato e che temono le vendette possibili del ritorno del vecchio regime.
D’altro canto, se dovesse vincere Hery, di sicuro la popolazione degli altopiani non aprrezzerebbe il risultato delle urne e potrebbero esserci rischi di scontri ;inoltre il fatto di aver dovuto assemblare una coalizione molto vasta durante la campagna elettorale pone dei seri dubbi sulla facoltà che avrà di poter governare come vorrebbe, senza lasciarsi condizionare dagli alleati, alcuni dei quali molto lontani dal voler lo sviluppo del paese.

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