C’è un parco del sud del Madagascar che amo tantissimo ma il cui destino mi preoccupa.

Un parco bellissimo, con una foresta di transizione che lentamente degrada dalla foresta pluviale dell’est fino alla savana dell’ovest, circondato da un massiccio granitico di una bellezza spettacolare.

Sto parlando del parco d’Andringitra e della valle del Tsaranoro, sua naturale propaggine.

Diventato meta conosciuta a livello mondiale per le sue pareti da scalare, conosciuto per la sua flora unica e caratterizzata da un clima vario ma di altitudine, per anni è sempre stata una destinazione molto ricercata soprattutto in settembre e ottobre al punto che era difficile prenotare delle stanze se non con mesi di anticipo.

Le strutture principali erano tre: la prima all’entrata sud gestita da una signora tedesca e che collaborava con Boogie Pilgrim, la seconda che era stata quella pioniera fondata dalla famiglia Cotsoyannis e la terza più recente gestita da Gilles Gautier.

Strutture non lussuose, ben integrate nell’ambiente circostante, tutte e tre che erano dotate sia di bungalows che di spazi camping che negli anni si erano riempite e avevano permesso l’arrivo dei turisti in una parte del Madagascar altrimenti inaccessibile.

Vent’anni fa già solo la pista d’accesso dalla parte sud era quasi impraticabile e solo con il loro impegno era diventata di facile accesso nel corso degli anni al punto che più volte ho visto salire anche bus da 25 posti.

Con la comunità si erano create guide capaci e si era cominciato ad accogliere in un primo momento gli scalatori e poco a poco anche turisti più classici.

Scalatori perché il massiccio del Tsaranoro è reputato una delle pareti più difficili al mondo al di fuori di europa e USA; turisti classici perché il trekking nel parco era diventato un must per chi era alla ricerca di due o tre giorni all’insegna delle passeggiate e offriva panorami incredibili.

Ma gli ultimi due anni hanno colpito duramente questo parco.

Al punto che la prima struttura ha chiaramente chiuso smontando il campo tendato che avevano costruito; la seconda non risponde da giorni neanche al telefono e sembra scomparsa. Rimane Gilles che spero abbia la forza di tenere botta da solo.

Ma la cosa che più mi preoccupa è la vera tenuta del parco: senza guadagni dal turismo è chiaro che la comunità locale vedrà sempre meno di buon occhio i sacrifici per conservare la foresta e i lemuri che ci abitano.

Già negli anni precedenti si erano visti incendi che avevano distrutto già una parte della foresta caducifoglia locale. Ma se hai tempi la comunità era intervenuta in massa spegnendo i fuochi appiccati dagli allevatori e aveva collaborato soprattutto con Gilles a un paio di riforestazione, la congiuntura difficile che a un’assenza di guadagni dal turismo ha provocato un’inflazione dei beni di necessità primari come cibo o carburante, porterà a un sicuro disinteresse.

Il rischio è che si ricominci con il solo turismo di arrampicatori che in effetti non ha i numeri per sostenere tutta la comunità che li ci abita.

Il rischio serio è di tornare indietro di 20 anni e dover tutto ricostruire da capo.

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