Oggi invece per evitare di scrivere sempre delle stesse cose, vi propongo un piccolo riassunto della storia di Nosy be, informazioni introvabili in Italiano ma che possono essere molto interessanti per chi visita l’isola e ancor più per chi ci abita da anni.

LE TRACCE PIÙ ANTICHE

Risalgono all’ottocento le prime tracce di presenza umana sull’isola di Nosy Be, che all’epoca veniva chiamata con il nome di Assada. L’isola, che diventerà Nosy Be nel 1841 con l’occupazione francese, venne occupata da marinai arabi i quali vi si stabiliranno definitivamente un secolo dopo. Essi erano approdati dapprima ad Ambanoro, attuale Marodoka, per stabilirsi successivamente anche nella baia di Ampasindava dove crearono la città di Mahilaka, che diventò qualche secolo più tardi (con un numero di 3.500 abitanti) la città più grande del Madagascar. Con il declino della stessa nel 1400, gli arabi si trasferirono verso Ambatoloaka, dove vennero raggiunti dai portoghesi nel sedicesimo secolo. Questi ultimi operarono principalmente in questa città, mentre gli arabi proseguivano il loro prospero commercio ad Ambanoro. Sia portoghesi che arabi erano giunti a Nosy Be per gli stessi motivi: il commercio, la tratta degli schiavi e il proselitismo religioso.

I PRIMI RACCONTI EUROPEI SU NOSY BE

Il diciassettesimo secolo è il secolo in cui francesi e inglesi iniziano a soppiantare, lentamente ma efficacemente, l’egemonia delle navi portoghesi nell’Oceano Indiano. Se Portogallo e Spagna erano stati nel sedicesimo secolo i principali conquistatori di nuove terre, altre potenze europee si stavano svegliando; e, con la vastità dei mari e dei territori da scoprire, il Portogallo lasciò aperte molte brecce attraverso l’Oceano Indiano.

Dell’isola di Nosy Be in Europa si sentì parlare per la prima volta intorno all’anno 1650 da un tenente colonnello, di nome Robert Hunt, a capo di una società coloniale inglese. Il colonnello nutriva due desideri: il primo era quello di conquistare l’intero Madagascar partendo da ovest, e il secondo quello di usare Nosy Be come deposito di commercio con le Indie. L’isola di Nosy Be era infatti, all’epoca proprio come ai giorni odierni, rigogliosa di prodotti naturali agricoli e di animali, mentre i residenti locali non erano in grado di fabbricare utensili utili seppur semplici, né di produrre tessuti. Questi sarebbero stati quindi importanti, in cambio, dalle Indie. Il tenente colonnello Hunt ci parla di un’isola, “Assada”, costituita da colline e da valli dai numerosi corsi d’acqua. Vi abitavano sessanta indigeni, i quali come attività piantavano canne da zucchero per venderle agli arabi della baia di Assada.

In questo secolo diciassettesimo, i francesi si mossero molto nelle acque dell’Oceano Indiano. E, dall’anno 1642 all’anno 1674, la Francia tentò di conquistare la città di Fort Dauphin nel sud di un’isola di fresca scoperta: il Madagascar. Il primo tentativo si ebbe ad opera di Luigi XIII e Richelieu: tentativo debellato grazie alla rivolta della tribù del luogo, gli Antanosy. Va sottolineato che le condizioni dell’isola erano allora estremamente avverse, soprattutto per gente di provenienza così lontana come gli europei, facili preda fra le altre cose delle febbri tropicali.

Con le difficoltà incontrate a Fort Dauphin, cominciò a diventare sempre più importante per i francesi la piccola isola dove le loro navi usavano fare brevi soste, non lontano dalle coste del Madagascar. Si trattava dell’attuale isola della Riunione, che diventò allora colonia francese. Questa piccola parentesi su Fort Dauphin fu valsa ai francesi almeno l’ottenimento a Fort Dauphin di una base, che manterrà fino all’anno 1825, quando la Francia dovrà cominciare a cercare altri porti e finirà per approdare, ancora anni dopo, definitivamente a Nosy Be.

Dopo aver sentito parlare di Nosy Be da parte del colonnello Robert Hunt, passerà oltre un secolo prima di avere nuove tracce sulla storia dell’isola. Siamo nell’anno 1775, quando un francese di nome Nicolas Mayeur (il primo europeo a mettere piede ad Antananarivo!) nomina nuovamente Nosy Be. Nicolas Mayeur si dirige verso il nord del Madagascar fra gli anni 1774 e 1776, in veste di interprete del Governo francese e agli ordini del barone Maurice-Auguste Beniowski. Quest’ultimo, avventuriero puro sangue, era sbarcato in Madagascar dopo lunghe peripezie a seguito di un suo schieramento con i polacchi nella guerra d’indipendenza contro i russi: condannato a un esilio in Kamtchatka nella parte più orientale della Siberia, era riuscito a fuggire. In Madagascar, egli divenne un personaggio importante, amico dei capi locali e a capo di costruzione di molte opere importanti quali ospedali e forti.

La storia di Nosy Be diventa molto più dettagliata dopo l’anno 1825: si tratta dell’anno in cui ebbe inizio la conquista del territorio malgascio da parte della tribù degli altipiani centrali. E’ inoltre l’anno in cui i francesi vennero cacciati da Fort Dauphin, da parte degli stessi abitanti degli altipiani, e furono costretti a iniziare a cercare un altro punto strategico su suolo malgascio. Si trattava per la Francia di commercio (i francesi avevano grandi difficoltà con i pirati lungo la costa est) e di rivalità con gli inglesi, i quali avevano potuto espandersi attraverso le Indie al contrario dei francesi. Si dice che dopo la guerra dei Sette Anni, che si concluse nel gennaio 1761 con la sconfitta dei francesi capeggiati da Lally Tollendal a Pondichéry, la Francia fosse infatti interessata a formare una grande quantità di soldati malgasci per un’eventuale, grande guerra contro l’Inghilterra. I francesi erano quindi in cerca di un porto dove stabilire una flotta navale di guerra.

GLI HOVA ALLA CONQUISTA DEL MADAGASCAR E DI NOSY BE

Nel 1824, il famoso re dell’Imerina (Imerina, parte nord-centrale del Madagascar, intorno ad Antananarivo) Andrianampoinimerina, diede vita a un programma di espansione del regno centrale del Madagascar per includere tutte le varie regioni dell’isola. Fu così che sotto il re Radama I, e in seguito sotto la regina Ranavalona I moglie e successore di quest’ultimo, gli Hova, abitanti degli altipiani centrali, diedero battaglia ai Sakalava, popoli delle coste, e ai francesi insediati nella città di Fort Dauphin.

Appaiono allora nella storia di Nosy Be le figure della regina e del re Antakarana, Tsiomeko e Tsimiaro. Tsiomeko era succeduta alla madre morente nel 1836 come regina del Regno di Boina (Regno del nord-ovest del Madagascar). Il suo esilio a Nosy Be iniziato nel 1837 pose fine al Regno stesso: nel 1840, esso venne inglobato nel regno Merina. Dopo aver chiesto aiuto al Sultano di Zanzibar e all’Imam di Mascate, e dopo infruttuosi interventi conclamati ma inconcludenti da parte di questi ultimi, la Regina Tsiomeko – che all’epoca dei fatti narrati era una bambina – e Tsimiaro si rivolsero ai francesi nella speranza di aiuto e di protezione. Tsimiaro si era ritirato nelle isole Mitsio a nord dell’arcipelago di Nosy Be. Il Sultano di Zanzibar aveva inviato in data 4 novembre 1938 una nave da guerra, e nello stesso anno aveva fatto costruire un forte. Presto tuttavia i soldati del Sultano si erano ritirati da Nosy Be, impressionati dai Merina. E i Merina avrebbero potuto attaccare da un momento all’altro: l’isola di Nosy Be rappresentava un fragile luogo per ritirarsi, a così poca distanza dalle coste nord-ovest del Madagascar.

In quegli anni i francesi quanto a loro continuavano a colonizzare l’isola di Bourbon (antico nome della Riunione), sotto il governo del contrammiraglio de Hell. Ricordiamo che i francesi venivano cacciati dalla città di Fort Dauphin nel 1825, trovando nell’isola della Riunione rifugio ma non soddisfazione: invero, la Riunione era eccessivamente piccola per potersi definire una conquista.

L’ARRIVO DEI FRANCESI A NOSY BE

Il contrammiraglio Anne Chrétien Louis de Hell, il quale era diventato governatore della Riunione nel maggio 1838, voleva mettere in atto la colonizzazione del Madagascar cominciata secoli prima dai suoi predecessori: questo desiderio non si era mai sopito nell’animo dei francesi. L’intento di Hell mirava a scoprire i litorali malgasci, esplorarli e conoscerne la popolazione. Quanto all’entroterra della Grande Isola, con il forte governo dei Merina essa rappresentava per quel momento un’impresa troppo ardua. D’altronde, per conquistare l’isola era in ogni caso primordiale insediarsi in qualche parte di essa.

Il contrammiraglio de Hell puntava sulla costa ovest del Madagascar, dove l’insediamento francese sarebbe stato egregiamente protetto da possibili attacchi ad opera degli inglesi. In quell’angolo di canale di Mozambico si trovava naturalmente l’isola di Nosy Be. Il capitano d’infanteria di marina francese venne allora inviato dalla Riunione su suolo malgascio, a bordo della nave Colibri: si trattava del famoso Pierre Passot, da cui prenderà il nome il Mont Passot di Nosy Be. Insieme a Passot viaggiava l’abbate Dalmond, missionario, già conoscitore dell’est del Madagascar: l’abbate Dalmond aveva imparato, con scopo l’evangelizzazione del popolo locale, il dialetto dell’est, ed era un esperto dell’isola di Sainte Marie.

Il nome del capitano d’infanteria di marina è oggi, come altri nomi francesi, immortale e vive per sempre nell’Isola di Nosy Be: il Mont Passot, la vetta più alta dell’isola che culmina a 330 metri di altezza, è uno dei luoghi più famosi e più visitati. Situato a venti chilometri dal villaggio di Ambatoloaka, dal Mont Passot si possono osservare sette laghi di cratere, considerati sacri dagli abitanti del luogo che vi si recano per compiere importanti riti religiosi. Dal Mont Passot si può inoltre ammirare la costa ovest di Nosy Be, fino all’isola di Sakatia. Non mancano nel panorama le piantagioni di sisal, ma soprattutto dal Mont Passot si può godere di straordinari tramonti.

Il Colibri di Passot e Dalmond approdò a Nosy Be alla fine del mese di settembre dell’anno 1839 e venne accolto dalla Regina Tsiomeko, dai suoi ministri e dai capi Sakalava. La Regina, nella sua posizione di grande difficoltà e minoranza rispetto all’avanzare dei Merina, vedeva nei francesi l’ultimo e unico baluardo, e ad essi chiese protezione. Fu così che il Capitano Passot portò ottime notizie da Nosy Be al contrammiraglio de Hell al suo ritorno alla Riunione. E quest’ultimo gli diede l’istruzione di redigere, una volta ritornato in Madagascar, insieme ai capi locali un atto di cessione di Nosy Be alla Francia.

A bordo della nave da guerra Prévoyante, il Capitano Passot faceva dunque un ritorno trionfante a Nosy Be: era l’aprile dell’anno 1840. Dopo pochi mesi, precisamente il giorno 14 luglio 1840, venne firmato il patto tanto atteso: la Regina Tsiomeko di dodici anni cedeva le isole di Nosy Be e di Nosy Komba al re dei francesi, Louis-Philippe, in cambio della protezione dell’isola di Nosy Be contro gli eventuali sbarchi Merina. I francesi si insediarono definitivamente a Nosy Be nei mesi di febbraio e marzo dell’anno successivo, il 1841.

A questo punto sorgeva però un grave problema: i coloni francesi non erano in grado, per mancanza di organizzazione, di strategia, di idee e di mezzi, di colonizzare davvero Nosy Be. Meno ancora, sarebbero stati in grado di difenderla da eventuali attacchi. La presa di possesso di Nosy Be si riassumeva in alcuni edifici principali dove i coloni vivevano, e tutto intorno le baracche dei locali. Si era ben lontani da quello che la grande cerimonia tenutasi il 5 marzo 1841 (presa di possesso ufficiale) sembrava aver promesso.

La protezione garantita dai francesi agli abitanti di Nosy Be e alla Regina Tsiomeko non era visibile in nessun modo: infatti sul posto mancava anche uno stabilimento militare; i Merina dal canto loro si stavano stabilizzando e creando un avamposto lungo la costa occidentale del Madagascar che si affacciava su Nosy Be. A questo si aggiunga il fatto che il vero scopo che aveva spinto la Francia ad occupare Nosy Be era lontano dal realizzarsi: nell’isola che sarebbe dovuta diventare un importante porto commerciale e militare, il governatore francese in loco e le di lui squadre non erano stati in grado di costruire un vero porto. Nosy Be era attrezzata, infatti, di un semplice molo, inadatto in tutti i modi pensabili ai grandi disegni dei piani più alti.

L’evento che creerà il tumulto più totale nella storia dei francesi di Nosy Be si rivelerà essere l’abolizione della schiavitù. Dopo la dichiarazione del 27 aprile 1848 che dava ordine di abolizione della schiavitù in tutte le colonie francesi, la vita dei coloni di Nosy Be cambiò drasticamente. Venne detto loro che dovevano lasciare andare gli schiavi che per loro lavoravano, con l’assicurazione che sarebbero stati pagati loro degli indennizzi. Per i proprietari di schiavi, anche locali, perdere manodopera che lavorava gratuitamente significava perdere tutto; anche le proprie posizioni di superiorità: improvvisamente, erano diventati comuni mortali senza grandi benefici. A questo si aggiunga il fatto che gli indennizzi tanto promessi non erano mai arrivati e continuavano a non arrivare.

LA RIVOLTA SAKALAVA

Con l’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi, a Nosy Be si verificarono le seguenti cose:
– Alcuni proprietari di schiavi rifiutarono di lasciare andare i loro uomini; piuttosto, preferirono lasciare Nosy Be e trasferirsi in Madagascar, lontani dalle leggi francesi.
– Gli schiavi improvvisamente liberi non poterono riorganizzarsi come società civile; in un certo disordine, fuggivano, e molti emigrarono.
– Nei capi Sakalava crebbe la brama di potere e nacque l’idea di potersi affrancare dal figlio della Regina Tsiomeko: il piccolo re Ranou. Ma, come è ovvio, il loro vero obiettivo era far crollare il potere francese: iniziarono di conseguenza a tramare per una totale eliminazione della presenza francese a Nosy Be; in massa, o uno per uno attraversi omicidi individuali.

Definito questo programma, i Sakalava cominciarono con episodi di saccheggi e rapine. Va fatto notare che il popolo Sakalava era stato altamente insoddisfatto del governo francese sull’isola di Nosy Be a causa del comportamento dei coloni, che si erano dedicati principalmente al commercio di alcol, e che fornivano i beni necessari per costruzioni e quelli necessari a fini alimentari soltanto ai vertici della piramide: in definitiva, a loro stessi.

La città di Hell Ville capeggiata dai francesi si difendeva con 50 soldati europei e 75 soldati africani, con in aggiunta 5 artiglieri. A questi si aggiungevano i 600 civili di Nosy Be che vennero arruolati. Di fronte a loro, un’armata Sakalava formata da un numero stimato tra le tremila e le quattromila unità, con base ad Ankify di fronte a Nosy Be. Nella metà del mese di giugno 1849, l’armata Sakalava avanzò per tre giorni per mezzo di piroghe: villaggi vennero attaccati e bruciati, persone e bestiame vennero portati via. Questo avveniva nei giorni 14, 15 e 16 giugno. Di nuovo pronti all’attacco, i soldati Sakalava si rimisero in moto il giorno 18 giugno al mattino, numerosi e nel pieno delle loro forze: in totale, tre truppe da mille a millecinquecento uomini ciascuna. Quel mattino, se i cannoni e i moschetti non fecero molto danno all’avanzata sakalava che sembrava troneggiare sulla difesa francese, gli artiglieri li misero tuttavia in grande difficoltà e infine in ginocchio. Molti ne morirono mentre tentavano di ritirarsi, ma l’isola di Nosy Be non tornò a vivere la sua vita di prima: regnava un sentimento di estrema insicurezza.

Per il successivo anno e mezzo, infatti, i Sakalava prepararono il loro ritorno a Nosy Be. Ritorno che ebbe luogo il 27 febbraio del 1851 e che durò un mese e mezzo. Questa volta, venivano spalleggiati dai Merina; per questi ultimi che avevano già in passato combattuto i francesi a Fort Dauphin, e che continuavano a nutrire l’obiettivo di allargare il loro dominio, Nosy Be doveva essere imperativamente liberata dalla presenza dei coloni. Questo nuovo e ultimo assalto ebbe come risultato l’uccisione del Re di Vohémar residente a Nosy Be dal 1846, la cui testa venne portata via come trofeo. Seguì un periodo di stand-by: con la morte della Regina merina Ranavalona I (1861) e la salita al trono del pacifico Re Radama II, molti Sakalava si stabilirono nella terra del Madagascar.

NOSY BE PARTE DEL MADAGASCAR

Indietro nel tempo, quando i francesi presero possesso effettivo dell’isola di Mayotte nel 1843, Nosy Be era venuta a far parte di quel che venne chiamato “Nosy Be et Dépendances”, ovvero il gruppo delle tre isole: Mayotte, Nosy Be e Sainte Marie. Quando, nel 1844, l’autorità che comandava i tre governanti assegnati alle tre isole si trasferì a Mayotte, il gruppo prese il nome di “Mayotte et Dépendances”. Di ritorno al presente, il 4 maggio dell’anno 1888, Nosy Be venne separata da questo gruppo e legata, insieme all’isola di Sainte Marie, amministrativamente a Diego Suarez dove i francesi avevano installato un governatore. Infatti, nel 1885 un trattato di pace con i malgasci (da questi firmato a malincuore) aveva inserito Diego Suarez sotto il protettorato francese. E, nel 1886, l’uomo politico e diplomatico francese Charles Le Myre de Vilers, nominato Residente Generale in Madagascar il 9 marzo 1886, si stabiliva ad Antananarivo. De Vilers venne succeduto da un altro diplomatico francese, Paul-Augustin-Jean Larrouy, che operò come Vice Residente in Madagascar dal marzo 1888 al dicembre 1889, per diventare quindi Residente Generale nel mese di ottobre 1892.

La zona Nord Ovest della Grande Isola era fortemente ambita dai Merina, ma nell’arco degli anni i francesi si erano evoluti in una maniera che ai locali era impossibile. L’ultima mossa vincente dei Merina contro i francesi di Nosy Be, e contro i francesi in generale, fu l’occupazione delle isole Nosy Faly e Nosy Mitsio, nel 1889.

Nel frattempo, nel centro del paese, i conflitti aumentavano: i francesi non erano i benvenuti nel cuore del Madagascar, non nel cuore della tribù dei Merina. Fu così che il Residente Generale Paul-Augustin-Jean Larrouy dovette, nel 1894, lasciare Antananarivo. E fu questo il momento in cui i francesi, diventati molto più forti ed essendo molto più equipaggiati, cominciarono a ideare una spedizione militare all’interno del Madagascar. Così fecero: avanzarono e occuparono presto Toamasina e Mahajanga, per infine conquistare Antananarivo il 30 settembre 1895.

Nel dicembre dell’anno 1895, arrivò in Madagascar come Residente Generale l’uomo politico francese Hippolyte Laroche. Egli fu l’artefice del trattato che fece del Madagascar una Colonia francese: nel 1897 veniva, infatti, abolita la monarchia nella Grande Isola. Dal 1897, Nosy Be entrò a far parte del Madagascar, sotto il governo francese. Insieme al Madagascar, diventerà indipendente nell’anno 1960.

NOSY BE NELLA GUERRA RUSSO-NIPPONICA

Alla fine del mese di dicembre 1904 e nei primi di gennaio dell’anno 1905, durante la guerra Russo-Giapponese per il controllo della Corea e della Manciuria, più di quaranta navi della “flotta russa del Baltico” sbarcarono in Madagascar sotto gli ordini dell’ammiraglio Rožestvenskij. L’intento era quello di fermarsi a Sainte Marie per rifornirsi di carbone, a Diego Suarez per le riparazioni (richieste da oltre tre mesi di navigazione ininterrotta), e infine dirigersi verso Port Arthur, in Manciuria, a dare man forte alle navi russe che sui luoghi non riuscivano a contrastare la flotta giapponese.

I francesi misero tuttavia in difficoltà la flotta russa, che pur aveva sperato in un aiuto: ricoprendo la Francia una posizione neutrale nel conflitto russo-nipponico, i permessi vennero negati e la flotta russa fu condannata a sostare nella baia di Ambavatoby di Nosy Be. Quanto meno, così dichiarano le fonti ufficiali. Il Giappone protestò infatti con il governo francese, sostenendo sapere che la flotta russa era stata accolta non nella baia di Ambavatoby, bensì proprio nel porto di Nosy Be.

Quando le navi russe di Port Arthur vennero definitivamente sconfitte dalla flotta nipponica il giorno 2 gennaio 1905, la flotta russa del Baltico si trovava ancora in acque malgasce, dove dovette rimanere per ben due mesi e mezzo. La flotta russa era in attesa dell’arrivo di sette incrociatori corazzati in provenienza dal Cile e dall’Argentina, che avrebbero dovuto irrobustire la flotta. Le navi tedesche che avevano il compito di fornire il carbone alle navi russe erano, quanto a esse, sbarcate a Nosy Be già nei mesi di ottobre e novembre precedenti.

E’ facile immaginare come la vita di un’isola come Nosy Be fosse cambiata durante la permanenza della flotta navale russa, che contava migliaia di soldati: una vera invasione! Nacquero in un batter d’occhio numerosi nuovi negozi aperti da commercianti provenienti da diverse parti del Madagascar. Tuttavia, i soldati non condussero a Nosy Be una vita “virtuosa”. I componenti della flotta erano contrari alla guerra con il Giappone, che definivano la più inutile di tutte le guerre sostenute dalla Russia, ed erano in collera con il governo zarista. Sapevano inoltre di essere fatalmente impreparati di fronte a un Giappone agguerrito e fino a quel momento strategicamente più forte, e sentivano avvicinarsi la minaccia di un’inevitabile, sanguinosa sconfitta. Passavano il tempo giocando, e si attardavano a bere cognac (il liquido più vicino alla vodka), giorno dopo giorno, fino a notte inoltrata, nell’unico ristorante di Nosy Be.

Nel suo romanzo intitolato “Tsushima”, lo scrittore sovietico Novikov-Priboï, ufficiale a bordo dell’incrociatore russo “Orel” parte della flotta, racconta con precisi e tristi dettagli la vita dei soldati in sosta a Nosy Be. Veniamo così a sapere che gli occupanti delle navi erano del tutto inabilitati a svolgere qualsiasi attività, nonostante l’ordine ricevuto dall’ammiraglio Rožestvenskij fosse stato quello di preparare i soldati: questi ultimi infatti soffrivano il caldo di giorno e di notte. Di giorno, a malapena orientandosi in quello che sembrava un forno incandescente, come testimonia lo scrittore, e di notte dormendo su mucchi di carbone e respirando a fatica. Per dissetarsi, i russi non potevano fare altro che bere un’enorme quantità di acqua di mare filtrata, e per questa e altre ragioni, numerosi furono le morti. L’acqua era calda e priva di sali minerali, lasciando i fisici indebolirsi rapidamente. Febbre, dissenteria e demenza sono alcune tra le malattie tropicali che vengono citate da Novikov-Priboï nel suo libro, a colpire i marinai.

I funerali lasciavano i morti in fondo al mare in quella che per i russi erano le terre di nessuno, e il morale sempre più basso, misto alla funesta consapevolezza del destino a cui andavano incontro, spingeva gli uomini agli atti più brutali. La flotta sperava di poter evitare lo scontro con i giapponesi. “Se non veniamo rinviati in Russia” racconta lo scrittore, “proseguiremo, ma unicamente per completare con la nostra perdita la terribile epopea che si sta svolgendo nell’Estremo Oriente”.

La flotta russa lasciò Nosy Be il 16 marzo 1905, composta e in fila sotto il sole, guidata da due torpediniere francesi con stendardi sventolanti sui rispettivi alberi con la scritta “Buon Viaggio”. Per i due giorni precedenti, all’annuncio che avrebbero dovuto salpare, gli occupanti delle navi avevano riempito gli uffici postali di Nosy Be: spedivano alle loro famiglie un gran numero di pacchi contenenti oggetti personali. Gli abitanti di Nosy Be radunati, e alcuni locali piroghieri in acqua, diedero l’ultimo saluto alle unità navali della flotta russa che non avrebbero mai più fatto ritorno. Tranne una: la nave da trasporto Anadyr.

Lasciata Nosy Be infatti, i russi giunti nelle acque orientali, mentre si dirigevano verso il porto di Vladivostok, vennero intercettati dai giapponesi agli stretti di Tsushima, e pesantemente sconfitti. A tradire la flotta fu una nave ospedale che non spense le luci: individuate le navi, i giapponesi attaccarono ed ebbero la meglio in un breve arco di tempo. Lo stesso ammiraglio Rožestvenskij, ferito e recuperato da un torpediniere giapponese, venne fatto prigioniero. La baia di Ambavatoby di Nosy Be, dove secondo le fonti ufficiali la flotta russa sostò per i due mesi e mezzo della sua permanenza, prese il suo odierno nome di Baia dei Russi (baie des Russes).

La nave Anadyr, unità piccola a cui i giapponesi non fecero molto caso, si era ritirata nel buio della battaglia senza poterne conoscere le sorti. Quarantanove giorni più tardi, questa stessa nave sbarcò a Diego Suarez con a bordo anche l’equipaggio di un’altra nave, la “Kouban”. Accolti con grande calore e ristorati, gli occupanti dell’Anadyr lasciarono il porto di Diego Suarez inviando tempo dopo un telegramma per ringraziare la città.

STORIA DEGLI INDIANI DI NOSY BE

La storia di Nosy Be è anche la storia degli indiani di Nosy Be. A cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, gli indiani in provenienza dalla regione del Gujarat approdarono nella rada di Ambanoro, Ambanoro che ha svolto il ruolo di polo commerciale di Nosy Be fino all’anno 1920. Essi vi giunsero con il Monsone che soffiava tra i mesi di dicembre e aprile, dopo aver fiancheggiato le coste arabe e aver effettuato scali nella parte est del continente africano (in special modo a Mombasa e a Zanzibar). Il modo in cui i loro Dau erano costruiti, con un unico albero inclinato in avanti e un’unica grande vela, li rendeva estremamente sensibili al vento: molto più in balìa di quest’ultimo rispetto ad altre tipologie di costruzioni navali. Non potendo affrontare la vastità dei mari, essi viaggiavano senza prendere rischi costeggiando una costa dopo l’altra: essendo tutta la parte est del Madagascar naturalmente scoperta, con i loro Dau gli indiani trovarono un porto sicuro a Nosy Be.

Testimonianze francesi dicono che gli indiani cominciarono ad arrivare a Nosy Be nei primi anni del diciannovesimo secolo da Bombay; testimonianze raccolte dalle famiglie indiane di Antananarivo parlano del villaggio di Ambanoro prima del milleottocento; di certo, la seconda metà del 1800 secolo vide un’immigrazione di massa di indiani in provenienza dalla regione del Gujarat, a causa della carestia che essi stavano subendo nelle loro terre di origine. Già prima del 1800, secondo le famiglie indiane di antica origine, Ambanoro era perfettamente inserita nell’asse commerciale Africa Orientale, Arabia Meridionale e India. Giunti ad Ambanoro, a cinque chilometri a nord di Hell Ville, gli indiani trovarono una popolazione mista, con grande probabilità di origine swahili, i quali si erano mescolati agli arabi in provenienza dell’Africa orientale e agli originari del posto: gli abitanti originari, discendenti di immigrati arabi provenienti dal Golfo, misti a popolazione locale, erano conosciuti come gli Antalaotra, tanto che i francesi residenti si riferivano alla baia di Ambanoro anche come “la baia degli Antalaotra”.

Il termine Antalaotra nel diciottesimo secolo stava, come lo indica letteralmente la parola, per “gente venuta da oltre mare”; questo significato muta nell’arco degli anni indicando un secolo dopo la discendenza di questi uomini arabi in provenienza d’oltre mare, che si erano sposati con donne malgasce. Infine, con il tempo, si parla degli Antalaotra come di una comunità Sakalava con usi e costumi islamici. Gli swahili quanto a loro sarebbero discendenza di immigrati in provenienza dalla città di Shiraz nel Golfo Persico, mescolati a popolazione Bantu. Gli Antalaotra, chiamati anche in modi differenti tra cui Antalote, Antalaots e Antalaotse, vissero ad Ambanoro come capi incontestati, sposando per ragioni strategiche e politiche le figlie dei capi locali. Con le loro capacità indiscutibili come navigatori e commercianti, furono gli intermediari dei commercianti provenienti da terre lontane, in tutti gli scambi che ebbero vita nel canale del Mozambico. Essi non operavano soltanto a Nosy Be, ma anche a Mayotte e inoltre lungo tutta la costa ovest del Madagascar. Malvisti dagli europei del posto, vennero lentamente soppiantati da questi e soprattutto dagli indiani, a partire dalla metà del diciannovesimo secolo: essi lavorarono, da quel periodo in avanti, con contratti di subappalto.

Gli indiani di Ambanoro sono gli antenati degli odierni “Karana”, gli indiani che popolano il Madagascar di generazione in generazione

La vita degli indiani a Nosy Be venne in parte ostacolata dalle presenze francesi in loco: da questi venivano infatti accusati di monopolizzare il commercio a danno dei locali. Per onor del vero, i locali non erano mai stati (e fino ai giorni nostri lo sono ben poco) commercianti. D’altronde, il commercio che gli indiani operavano non andava a scapito dei locali, bensì aiutava questi ultimi ad ottenere prodotti provenienti da lontano: prodotti dal Madagascar per intero passavano attraverso Nosy Be per essere esportati (come il riso delle alte terre centrali) e dall’estero i commercianti indiani facevano arrivare in Madagascar tramite Nosy Be prodotti introvabili (come armi, sapone e bottiglie).

I francesi sostenevano che il commercio di tutta la parte ovest del Madagascar fosse nelle mani degli indiani e ne temevano fortemente la concorrenza poiché i stabilimenti di questi ultimi erano estremamente prosperi. A questo si aggiunga il fatto che gli indiani, al contrario dei francesi, vennero accettati dai locali Sakalava che vedevano in essi un ausilio indispensabili al loro vivere quotidiano, contrariamente ai francesi che, sì, facevano partire e venire delle navi, ma del cui contenuto i locali ricevevano ben poco. In ogni caso, concorrere nel canale del Mozambico con i commercianti islamici e con i loro Dau era una sfida quasi impossibile per le navi europee costruite per i lunghi viaggi tra Madagascar e Europa: più grandi, di gran lunga più pesanti, meno maneggevoli, erano perfette unicamente per tragitti internazionali per cui venivano costruite.

STORIA COMMERCIALE DI NOSY BE

La prospera storia commerciale dell’isola di Nosy Be si basa sulle sue piantagioni, in particolare di Ylang Ylang, di zucchero e di caffè. La più gran parte del mercato degli Ylang Ylang era posseduta dalla Società delle Piante da Profumo del Madagascar (Société des Plantes à Parfum de Madagascar – Abbreviato SPPM), con 150 ettari di piantagioni. Accanto alla SPPM, gli ylang ylang venivano piantati e lavorati da una decina di imprese più piccole, le quali raggiungevano insieme i 250 ettari e si occupavano della distillazione tradizionale degli oli e dell’esportazione di questi ultimi.

Un altro nome ben conosciuto in terra malgascia è quello della Sirama, industria produttrice di zucchero. La Sirama aprì un imponente zuccherificio (oltre a una distilleria di rum) a Dzamandzar, sulla costa occidentale di Nosy Be, a partire dallo zucchero raccolto dalle canne della parte occidentale dell’isola. Lo zuccherificio durò per lunghi anni, dal decennio 1920 per chiudere le sue porte nel 2006. Le produzioni di caffè e di cacao di Nosy Be erano nelle mani della Nossibia, compagnia delle industrie agricole di Nosy Be.

2 pensieri su “La storia di Nosy be

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